martedì 10 febbraio 2009

MARLON BRANDO

Come ogni settimana continua l’esposizione dei “Miti Intramontabili” …

Oggi è il turno di

MARLON BRANDO


Nato da una famiglia povera, ancora ragazzo lascia Omaha e tenta la carta artistica. Fa qualche parte in piccoli teatri e, visto che il talento c'è, a vent'anni è già a Broadway. L'incontro decisivo è con Elia Kazan che dopo avergli soltanto parlato gli affida uno dei ruoli più importanti e difficili di tutto il teatro americano, il semiselvaggio Stanley Kowalski de Il tram che si chiama desiderio, da Tennessee Williams. E' talmente dotato che non ha avuto bisogno di alcuna scuola. Tuttavia Kazan lo introduce all'Actor's Studio, del quale l'attore diventa la bandiera. Hollywood è lo sbocco naturale nel 1950, quando B. è protagonista di Uomini di Zinneman. Da allora, ogni volta, lascia un segno profondo e per quattro anni (e quattro film) consecutivi ottiene la nomination all'Oscar: Un tram che si chiama desiderio (1951), Viva Zapata (1952), Giulio Cesare (1953), Fronte del porto (1954, stupendo a mio parere). Con quest'ultimo arriva il primo Oscar. Nel frattempo l'attore è diventato una leggenda vivente, per immagine e per bravura. Sul set di Giulio Cesare affronta i più grandi attori shakespeariani (fra i quali Gielgud) senza mai aver recitato Shekespeare: dopo il suo monologo davanti al corpo di Cesare tutti quanti, anche i tecnici, esplodono in un applauso. I capelli di Terry Malloy, il protagonista di Fronte del porto, diventano moda. Il "chiodo", il giubbotto di pelle indossato ne Il selvaggio, diventa moda. Brando è il più grande fenomeno divistico e artistico del cinema. Ha davvero cambiato il cinema. Sono i suoi anni migliori. Temperamento assolutamente istintivo, imprevedibile e incontrollabile, comincia a diventare il nemico di se stesso. Annoiato, innamoratosi della partner Tarita, che sposerà, abbandona il set del "Bounty" per un anno, con danni economici catastrofici. Girando Queimada fa impazzire Gillo Pontecorvo, che ripudia il film. Comincia, per denaro, ad accettare parti inadeguate. Declina. Ma Brando è Brando, imprevedibile come sempre. Nel '72 risorge clamorosamente dalle proprie ceneri. Interpreta Ultimo Tango a Parigi e costringe Bertolucci a ubbidirgli. Si riaffaccia il mito. L'attore divulga la figura del (quasi) cinquantenne in crisi, angosciato e disperato che porta tanti coetanei all'emulazione, persino con qualche caso di suicidio. A Parigi un gruppo di signore fonda un "club Ultimo Tango" dove uno dei riti consiste nel masturbarsi davanti alle immagini del divo. Nello stesso anno B. si presenta, truccato, non riconosciuto, al provino per la parte del boss Corleone per il Padrino. Lo prendono. Vince con quel ruolo il secondo Oscar, che fa ritirare da un'indiana. E' dunque resuscitato due volte, insieme al suo mito. Altra decadenza, altri eccessi, altri errori. Sembra finito. Ma alla fine del decennio rieccolo nel ruolo del famigerato colonnello Curz in Apocalypse Now. Altra resurrezione. Ma è l'ultima. Il resto sono "cammei" remunerativi, come in Superman. I segnali sono sempre più deboli. E la sua vita privata è una tragedia. Recentemente, nel quadro del suo sodalizio con Johnny Depp lo si è rivisto in Don Juan De Marco." e ne "Il coraggioso". Era ridotto a un effetto speciale di 150 chili. La più grande "presenza" di tutto il cinema ha cercato in tutti i modi di distruggersi. E si è distrutta.



Intorno a lui si ingigantì la voce di una sua presunta omosessualità, mai confermata e neanche smentita!

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