Un accordo segreto, ma anche la prova tangibile di un’amicizia al tempo stesso profonda e complicata tra due giganti dell’arte, Vincent Van Gogh (1853-1890) e Paul Gauguin (1848-1903). Il saggio di Hans Kaufmann e Rita Wildegans appena uscito in Germania ( L’orecchio di Van Gogh, Paul Gauguin e il patto del silenzio, Osburg Verlag, pp. 392, e 23) certo propone un’interpretazione inedita di un fatto notissimo: non sarebbe stato Van Gogh a tagliarsi l’orecchio nella notte tra il 23 e il 24 dicembre 1888, ad Arles, ma sarebbe invece stato Gauguin a ferire l’amico al termine di un litigio, forse non per motivi artistici, ma piuttosto per colpa di «una certa Rachele».
Non solo: il saggio (corollario ideale alla mostra Van Gogh. Tra terra e cielo in corso al Museo d’arte di Basilea, dove verrà presentato e discusso il 17 giugno) conferma il legame tra Vincent e Paul e quella tensione, mista a gelosia, che accomunava i due. Una tensione che il critico Flavio Caroli definisce «ben avvertibile già a partire dall’inverno del 1886, che sembrava nascere dalla gelosia di Van Gogh per l’amico più 'forte' e che vedeva come terzo incomodo il giovane Émile Bernard». Secondo Caroli l’interpretazione di Kaufmann e Wildegans «è possibile», anche perché di quell’evento non ci sono documenti certi: «Se non quelli ufficiali del sindaco di Arles, la petizione dei cittadini che non volevano quel pittore così scomodo e il resoconto della polizia di un Van Gogh che si presenta in un bordello con il suo orecchio avvolto nella carta di giornale». I due ricercatori tedeschi sostengono che «l’automutilazione di Van Gogh non è mai stata provata» e che, di fatto, «l’unica testimonianza accertata è quella di Gauguin ».
Che ne parla ampiamente nel libro Avant et après del 1903 e che, forse non per caso, dopo l’incidente sarebbe precipitosamente ritornato a Parigi per poi fuggire a Tahiti. Gauguin avrebbe mozzato il lobo dell’orecchio di Van Gogh con una sciabola, che poi avrebbe gettato nel Rodano, al termine di un litigio «su una prostituta », Rachele appunto (e non su problemi d’arte) mentre l’amico avrebbe taciuto per proteggerlo (più tardi i due si sarebbero anche scritti). La mattina del 24 la polizia avrebbe poi trovato un uomo con il volto insanguinato e l’avrebbe fatto ricoverare in ospedale. Scrivono Kaufmann e Wildegans: «La versione tradizionale, quella finora accreditata, è basata solo su affermazioni senza prove e sul racconto di Gauguin, che non sarebbe nemmeno stato presente al fatto, un racconto pieno di contraddizioni e di punti oscuri. Non esiste un’inchiesta ufficiale e nemmeno un testimone indipendente. Van Gogh, per parte sua, non ha mai confermato niente».
Di fatto, secondo questa tesi, viene a crollare l’idea di un’automutilazione che avrebbe anticipato il suicidio di Van Gogh, sette mesi più tardi, nella casa del Dottor Gauchet. Dunque, nessuna nuova prova. Eppure questa lettura può essere convincente. Anche per Marco Goldin, storico dell’arte e organizzatore di mostre (la sua più recente, quella dedicata a Van Gogh al Museo di Santa Giulia a Brescia, ha collezionato oltre 200mila visitatori in 111 giorni): «Sono stupito, ma può essere una lettura come un’altra. Certo, il fatto che quel litigio non fosse legato all’arte, ma a una donna, era abbastanza noto» (un fatto che contraddice la tesi a suo tempo proposta da Bataille e Artaud che videro nell’automutilazione di Van Gogh «il simbolo della follia come base dell’arte moderna»). Vittorio Sgarbi, curatore della mostra Arte, genio, follia in corso a Siena a Santa Maria della Scala (fino al 25 maggio), che vede Van Gogh tra i suoi protagonisti, conferma: «Quella dell’automutilazione è una leggenda, per cui anche quest’altra ipotesi può essere valida». Certo è che, al di là dell’orecchio tagliato di Van Gogh, sorprende come gli impressionisti continuino ad attirare l’attenzione. Così, mentre per Einaudi esce in Italia il libro di Cyntia Saltzmann sul Ritratto del Dottor Gauchet («Storia e avventura di un capolavoro»), dall’Inghilterra arriva il saggio di Philip Hook The ultimate Trophy (Prestel), ovvero «come gli impressionisti hanno conquistato il mondo » grazie a un mix di semplicità e di pittori intriganti come star. Non a caso, nel 1956, a Hollywood su Van Gogh avrebbero girato addirittura un film (regista Vincent Minnelli) con Kirk Douglas. Che, in quel caso, si sarebbe tagliato da solo l’orecchio. Ma fuori scena.
Non solo: il saggio (corollario ideale alla mostra Van Gogh. Tra terra e cielo in corso al Museo d’arte di Basilea, dove verrà presentato e discusso il 17 giugno) conferma il legame tra Vincent e Paul e quella tensione, mista a gelosia, che accomunava i due. Una tensione che il critico Flavio Caroli definisce «ben avvertibile già a partire dall’inverno del 1886, che sembrava nascere dalla gelosia di Van Gogh per l’amico più 'forte' e che vedeva come terzo incomodo il giovane Émile Bernard». Secondo Caroli l’interpretazione di Kaufmann e Wildegans «è possibile», anche perché di quell’evento non ci sono documenti certi: «Se non quelli ufficiali del sindaco di Arles, la petizione dei cittadini che non volevano quel pittore così scomodo e il resoconto della polizia di un Van Gogh che si presenta in un bordello con il suo orecchio avvolto nella carta di giornale». I due ricercatori tedeschi sostengono che «l’automutilazione di Van Gogh non è mai stata provata» e che, di fatto, «l’unica testimonianza accertata è quella di Gauguin ».
Che ne parla ampiamente nel libro Avant et après del 1903 e che, forse non per caso, dopo l’incidente sarebbe precipitosamente ritornato a Parigi per poi fuggire a Tahiti. Gauguin avrebbe mozzato il lobo dell’orecchio di Van Gogh con una sciabola, che poi avrebbe gettato nel Rodano, al termine di un litigio «su una prostituta », Rachele appunto (e non su problemi d’arte) mentre l’amico avrebbe taciuto per proteggerlo (più tardi i due si sarebbero anche scritti). La mattina del 24 la polizia avrebbe poi trovato un uomo con il volto insanguinato e l’avrebbe fatto ricoverare in ospedale. Scrivono Kaufmann e Wildegans: «La versione tradizionale, quella finora accreditata, è basata solo su affermazioni senza prove e sul racconto di Gauguin, che non sarebbe nemmeno stato presente al fatto, un racconto pieno di contraddizioni e di punti oscuri. Non esiste un’inchiesta ufficiale e nemmeno un testimone indipendente. Van Gogh, per parte sua, non ha mai confermato niente».
Di fatto, secondo questa tesi, viene a crollare l’idea di un’automutilazione che avrebbe anticipato il suicidio di Van Gogh, sette mesi più tardi, nella casa del Dottor Gauchet. Dunque, nessuna nuova prova. Eppure questa lettura può essere convincente. Anche per Marco Goldin, storico dell’arte e organizzatore di mostre (la sua più recente, quella dedicata a Van Gogh al Museo di Santa Giulia a Brescia, ha collezionato oltre 200mila visitatori in 111 giorni): «Sono stupito, ma può essere una lettura come un’altra. Certo, il fatto che quel litigio non fosse legato all’arte, ma a una donna, era abbastanza noto» (un fatto che contraddice la tesi a suo tempo proposta da Bataille e Artaud che videro nell’automutilazione di Van Gogh «il simbolo della follia come base dell’arte moderna»). Vittorio Sgarbi, curatore della mostra Arte, genio, follia in corso a Siena a Santa Maria della Scala (fino al 25 maggio), che vede Van Gogh tra i suoi protagonisti, conferma: «Quella dell’automutilazione è una leggenda, per cui anche quest’altra ipotesi può essere valida». Certo è che, al di là dell’orecchio tagliato di Van Gogh, sorprende come gli impressionisti continuino ad attirare l’attenzione. Così, mentre per Einaudi esce in Italia il libro di Cyntia Saltzmann sul Ritratto del Dottor Gauchet («Storia e avventura di un capolavoro»), dall’Inghilterra arriva il saggio di Philip Hook The ultimate Trophy (Prestel), ovvero «come gli impressionisti hanno conquistato il mondo » grazie a un mix di semplicità e di pittori intriganti come star. Non a caso, nel 1956, a Hollywood su Van Gogh avrebbero girato addirittura un film (regista Vincent Minnelli) con Kirk Douglas. Che, in quel caso, si sarebbe tagliato da solo l’orecchio. Ma fuori scena.
dal Corriere.it
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