martedì 5 maggio 2009

l’orecchio di Van Gogh

Fu Gauguin a tagliare l’orecchio di Van Gogh
Un accordo segreto, ma anche la prova tangibile di un’amici­zia al tempo stesso profonda e complicata tra due giganti del­­l’arte, Vincent Van Gogh (1853-1890) e Paul Gauguin (1848-1903). Il saggio di Hans Kaufmann e Rita Wildegans appena uscito in Germania ( L’orecchio di Van Go­gh, Paul Gauguin e il patto del silenzio, Osburg Verlag, pp. 392, e 23) certo propo­ne un’interpretazione inedita di un fatto notissimo: non sarebbe stato Van Gogh a tagliarsi l’orecchio nella notte tra il 23 e il 24 dicembre 1888, ad Arles, ma sarebbe in­vece stato Gauguin a ferire l’amico al ter­mine di un litigio, forse non per motivi ar­tistici, ma piuttosto per colpa di «una cer­ta Rachele».
Non solo: il saggio (corollario ideale al­la mostra Van Gogh. Tra terra e cielo in corso al Museo d’arte di Basilea, dove ver­rà presentato e discusso il 17 giugno) con­ferma il legame tra Vincent e Paul e quella tensione, mista a gelosia, che accomunava i due. Una tensione che il critico Flavio Ca­roli definisce «ben avvertibile già a partire dall’inverno del 1886, che sembrava nasce­re dalla gelosia di Van Gogh per l’amico più 'forte' e che vedeva come terzo inco­modo il giovane Émile Bernard». Secondo Caroli l’interpretazione di Kaufmann e Wil­degans «è possibile», anche perché di quell’evento non ci sono documenti certi: «Se non quelli ufficiali del sindaco di Ar­les, la petizione dei cittadini che non vole­vano quel pittore così scomodo e il reso­conto della polizia di un Van Gogh che si presenta in un bordello con il suo orec­chio avvolto nella carta di giornale». I due ricercatori tedeschi sostengono che «l’automutilazione di Van Gogh non è mai stata provata» e che, di fatto, «l’unica testimonianza accertata è quella di Gau­guin ».
Che ne parla ampiamente nel libro Avant et après del 1903 e che, forse non per caso, dopo l’incidente sarebbe precipi­tosamente ritornato a Parigi per poi fuggi­re a Tahiti. Gauguin avrebbe mozzato il lo­bo dell’orecchio di Van Gogh con una scia­bola, che poi avrebbe gettato nel Rodano, al termine di un litigio «su una prostitu­ta », Rachele appunto (e non su problemi d’arte) mentre l’amico avrebbe taciuto per proteggerlo (più tardi i due si sarebbero anche scritti). La mattina del 24 la polizia avrebbe poi trovato un uomo con il volto insanguinato e l’avrebbe fatto ricoverare in ospedale. Scrivono Kaufmann e Wildegans: «La versione tradizionale, quella finora accre­ditata, è basata solo su affermazioni senza prove e sul racconto di Gauguin, che non sarebbe nemmeno stato presente al fatto, un racconto pieno di contraddizioni e di punti oscuri. Non esiste un’inchiesta uffi­ciale e nemmeno un testimone indipen­dente. Van Gogh, per parte sua, non ha mai confermato niente».
Di fatto, secondo questa tesi, viene a crollare l’idea di un’au­tomutilazione che avrebbe anticipato il suicidio di Van Gogh, sette mesi più tardi, nella casa del Dottor Gauchet. Dunque, nessuna nuova prova. Eppure questa lettura può essere convincente. An­che per Marco Goldin, storico dell’arte e organizzatore di mostre (la sua più recen­te, quella dedicata a Van Gogh al Museo di Santa Giulia a Brescia, ha collezionato ol­tre 200mila visitatori in 111 giorni): «So­no stupito, ma può essere una lettura co­me un’altra. Certo, il fatto che quel litigio non fosse legato all’arte, ma a una donna, era abbastanza noto» (un fatto che con­traddice la tesi a suo tempo proposta da Bataille e Artaud che videro nell’automuti­lazione di Van Gogh «il simbolo della fol­lia come base dell’arte moderna»). Vitto­rio Sgarbi, curatore della mostra Arte, ge­nio, follia in corso a Siena a Santa Maria della Scala (fino al 25 maggio), che vede Van Gogh tra i suoi protagonisti, confer­ma: «Quella dell’automutilazione è una leggenda, per cui anche quest’altra ipotesi può essere valida». Certo è che, al di là del­l’orecchio tagliato di Van Gogh, sorprende come gli impressionisti continuino ad atti­rare l’attenzione. Così, mentre per Einaudi esce in Italia il libro di Cyntia Saltzmann sul Ritratto del Dottor Gauchet («Storia e avventura di un capolavoro»), dall’Inghil­terra arriva il saggio di Philip Hook The ul­timate Trophy (Prestel), ovvero «come gli impressionisti hanno conquistato il mon­do » grazie a un mix di semplicità e di pit­tori intriganti come star. Non a caso, nel 1956, a Hollywood su Van Gogh avrebbe­ro girato addirittura un film (regista Vin­cent Minnelli) con Kirk Douglas. Che, in quel caso, si sarebbe tagliato da solo l’orec­chio. Ma fuori scena.
dal Corriere.it

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